GESTIRE OBIETTIVI E PROGETTI NEL POST-COVID: la nuova sfida del Project Manager
L’unicità storica del periodo attuale si è rivelata, al di là di ogni possibile pronostico, sfida ardua per tutti. Tra prospettive più speranzose e ottimistiche e altre più “cupe”, si fa strada la certezza che nulla sarà più come prima. E che molte delle “scoperte” (non tutte negative) fatte in queste settimane entreranno a far parte di diritto del know how e dei processi interni di molte organizzazioni.
E’ pur vero tuttavia che l’impennata dei livelli di instabilità e incertezza ha rappresentato un autentico scossone. Persino i più “audaci” o avvezzi alla gestione del problem solving hanno dovuto fare i conti con non pochi momenti di sbandamento. Tra questi, anche la gestione di progetti complessi (o PM che dir si voglia) sta subendo un profondo e strutturale mutamento.
Non è la prima volta in cui ci si è fermati a riflettere sulla strategicità del Project Management, specie in tempi di crisi.
All’epoca del crollo della Lehman Brothers ad esempio, il più grande guru mondiale del project management, Russel Archibald, propose di attivare diffusamente la disciplina del project management per la “ricostruzione” fisica e morale degli USA. Fu allora inascoltato, ma nel 2016 in USA è stata approvata una legge bipartisan, denominata PMIAA – Program Management Improvement and Accountability Act, che ha previsto di rinforzare/applicare l’utilizzo della disciplina del program/project management in tutto il settore federale americano, al fine di migliorare l’efficacia dei propri progetti e quindi degli investimenti pubblici.
Assicurare la gestione di un progetto negli obiettivi, rispetto dei tempi e costi è missione (quasi) impossibile se gli stessi elementi fondanti di un progetto (risorse, obiettivi, fattibilità) vengono messi in discussione da fattori esterni, non prevedibili e – in quanto tali – non governabili.
Su quest’ultimo punto è già stato determinante il simbolico passaggio dalla metodologia Waterfall (caratterizzata dal controllo del lavoro secondo protocolli specifici che prevedono una successione di operazioni in cascata appunto) che ha classicamente contraddistinto il PM per decenni, a quella molto più attuale dell’agile, oggi ampiamente adoperata e divenuta sinonimo di semplificazione, flessibilità, rapidità e collaborazione.
Rimane tuttavia in queste settimane la consapevolezza (unita alla scarsa capacità previsionale o di confronto per analogia) che stavolta quello che abbiamo non sia “abbastanza”. E che anche per il “deux ex machina” del progetto per antonomasia sia arrivato il momento di fermarsi. Prendere atto del fatto che questa volta ciò che si sta verificando non può essere governato da una normale analisi e valutazione del rischio.
Perché questa crisi è “differente”?
Sappiamo molto poco in realtà di quello che ci sta succedendo, ancor meno di quello che avverrà in un secondo momento. A detta degli economisti si tratta di una emergenza unica nel suo genere perché sta avvenendo in contemporanea una crisi di domanda e anche di offerta. In pratica non si può comprare e non si può produrre. Non confortanti neanche le parole dell’Ocse – l’organizzazione che riunisce i paesi più ricchi – che ha calcolato una percentuale di crescita del 2,4 % dell’Economia Globale (in caso di contenimento della crisi) e dell’1,5% (in caso di perdita di controllo) contro un 3% previsto inizialmente in condizioni “normali”. Praticamente, il risultato peggiore dai tempi della Grande Crisi di circa 10 anni fa. Paura e incertezza ci fanno invocare sempre più spesso l’espressione “economia di guerra” quasi a sottolineare una situazione di emergenza e di eccezionalità.
“Dobbiamo inventare una saggezza nuova per una nuova era. E nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti agli occhi dei nostri progenitori”. (J. M. Keynes)
Come si muove un Project Manager in tempi di “guerra”?
Se non è possibile pianificare l’imprevedibile, diventa intanto utile – come del resto in gran parte delle situazioni impreviste che ci troviamo a gestire – partire dalle competenze che già possediamo e cercare di sottoporle ad un’analisi oggettiva.
Ciò che infatti in prima battuta rende possibile la gestione di un progetto complesso è rappresentato indubbiamente dalle competenze trasversali, vale a dire dalla capacità di comunicazione, di problem solving, di pensiero critico e decisionale. Skills che quasi sempre comportano un valore aggiunto rispetto alla sola conoscenza del settore o specificatamente tecnica. O che spesso contribuiscono a tenere vivo un progetto anche durante un lock down.
Essere dotati di solide competenze di tipo soft non è tuttavia ancora sufficiente se non è possibile ricorrere all’adattabilità. Vale a dire alla capacità di modificare il piano strategico in corso, riprogettare le attività in modo da renderle adatte al contesto attuale (e al budget), proporre soluzioni innovative, spesso nel contenuto e di conseguenza anche nella modalità. Il Project Manager deve essere pronto dunque a diventare anche un innovatore e non solo un gestore di crisi.
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.
(W. Churchill)
Il cambiamento teso alla generazione di innovazione può avvenire attraverso la raccolta di idee creative o apparentemente divergenti (di solito gestite in una fase di brainstorming con il cliente). Il valore strategico di questo processo è rappresentato dal fatto che non solo il Pm può arrivare a gestirlo in prima persona ma che potrà poi occuparsi anche della raccolta, valutazione e selezione di quelle fattibili (fase di convergenza) in linea con la cultura aziendale e, soprattutto, con gli obiettivi e gli output del progetto. Innovare per cambiare non è dunque “tradire” il progetto o mirare alla mera sopravvivenza di quest’ultimo ma adattarsi alle circostanze per creare valore aggiunto e dar vita a un percorso ancora più solido e strutturato.
Nel ruolo di innovatore il Project Manager…
Potrà avere dalla sua un’altra tipica quanto fondamentale skill in questo frangente. La gestione della negoziazione tra parti coinvolte. Mediare gli interessi in gioco mantenendo un piano d’azione coerente è già pane quotidiano per chi si occupa di Project Management. Ma farlo in economia di guerra e con risorse in continuo mutamento richiede forse uno step aggiuntivo. Farsi “garanti” del rischio che questa innovazione comporta per diventare un vero partner strategico.
Come già sottolineato anche da Mauro Mancini, professore di Project Management e Programme Management al politecnico di Milano:“È bene aver chiaro che la gestione di un progetto è la gestione di persone e di informazioni, e l’era della digitalizzazione che stiamo attraversando sta cambiando approcci e metodi di interazione e comunicazione tra le persone. Quanto più un’azienda riesce a dotarsi di strumenti di gestione dei progetti che possano beneficiare di tutto questo, tanto più riuscirà a cavalcare efficacemente i continui cambiamenti del contesto in cui opera”.
Ciò diventa ancora più “vero” in tempi di crisi, perché le interazioni già normalmente liquide diventano imprevedibili e quasi inafferrabili.
In quanto garante del rischio connesso all’innovazione e al cambiamento, reso ancora più incerto sotto innumerevoli aspetti dalla paura e dall’insicurezza nel futuro attuali, il PM dovrebbe compiere l’ultimo decisivo passo: avere il coraggio di sentirsi anche un “cultore del fallimento”.
“Avere ragione ci tiene fermi. Avere torto ci spinge a esplorare.” (S.B. Johnson)
Anche perché come sottolineato dallo stesso Mancini “Un progetto ha bisogno di tutti: persone che rischiano come di conservatori. E il Project Manager deve avere la capacità di capire quali sono le aree in cui è giusto sbagliare per imparare velocemente dall’errore”.
E se è vero che, secondo lo studio AXELOS PPM Benchmark, quasi la metà dei project manager che effettuano raramente (o mai) revisioni di progetti, sono andati incontro ad un fallimento del progetto negli ultimi 12 mesi, forse è ugualmente importante stimare un tempo da dedicare alle lezioni apprese alla luce della crisi in corso, interrogarsi sul proprio ruolo e concedersi la possibilità di compiere “sani” errori se la contropartita è quella, appunto, di creare del valore in una “economia di guerra”.
Meno “deus ex machina” dunque, più errori per migliorare. Senza dimenticare un’altra delle milestones della gestione di un progetto complesso: la collaborazione e il coinvolgimento del proprio team di lavoro e del management.
Perché “Quando la natura ha bisogno di nuove idee, cerca associazioni, non l’isolamento.” (S.B. Johnson).
Figuriamoci in tempi di “guerra”.
Foto di Piotr Makowski.